“Qui non facciamo filosofia!”. Questa sentenza, che condanna l’interlocutore ad essere considerato una sorta di perditempo con la testa tra le nuvole, mi perseguita da decenni, anche quando da giovane studiavo e “perdevo il mio tempo” nuotando 12 chilometri al giorno programmati con teutonica precisione da Bubi Dennerlein. Vuol dire: “non abbiamo tempo da perdere”, “qui non facciamo chiacchiere inutili”, “qui si lavora e non si parla di filosofia”. E la scuola italiana si sta adeguando a quel modello: non ha più tempo da perdere con la filosofia (e con tante altre “materie” scolastiche). Ma Giovanni Gentile si sta rivoltando nella tomba. Il filosofo idealista si intendeva davvero di scuola e la sua riforma (1923) era funzionale a una società rigida, semplificata e gerarchica, ma aveva ben chiaro che la filosofia era “materia” privilegiata e riservata alla futura classe dirigente. Poi il mondo –per fortuna- è cambiato.
Anche i “cafoni”, come venivano chiamati i braccianti ai tempi di Di Vittorio, sono diventati (in teoria) “classe dirigente” grazie alla Costituzione repubblicana, alla promessa democratica e alla scuola pubblica, che è la sua più importante conquista. (altro…)