Il calabrone Renzi

Improvvisamente il silenzio, o quasi. Qualche volta succede e ti meravigli se all’improvviso riesci a sentire il rumore dei tuoi passi o ad ascoltare quello che resta dei tuoi pensieri.

Adesso, dopo la più urlata e clamorosa campagna elettorale della storia italiana, la soglia del rumore molesto si è abbassata e forse si può tornare a ragionare. Per settimane siamo stati colonizzati da strepiti ed insulti perché gli esperti di comunicazione avevano teorizzato che: “urlate, urlate, qualcosa rimarrà”.

E’ stata –a suo modo- una campagna elettorale “futurista” che ha esaltato “il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno” e naturalmente l’urlo e l’insulto.

Qualcuno si è divertito, specie tra i giornalisti delle varie arene televisive, ad inventare un inesistente sorpasso tra Renzi e Grillo, per eccitare gli animi e le tifoserie, approfittando della preistorica legge sulla “par condicio”, che proibisce nelle ultime due settimane la divulgazione dei sondaggi, ma non la loro realizzazione, che rimane un beneficio esclusivo delle élites politiche e mediatiche.

Beppe Grillo ha riempito le piazze con i suoi spettacoli, che nemmeno lontanamente rassomigliavano a un “mistero buffo”, ma erano carichi di boccacce, insulti e minacce “rivoluzionarie”. Silvio Berlusconi, appannato dagli anni e circondato dai suoi processi, ha giocato un po’ facendo il segno delle manette, ma come al solito ha occupato militarmente le sue televisioni e un pezzetto del servizio pubblico per dire che Grillo era pericoloso e un assassino. Matteo Renzi, ad un certo punto, si è tolto dal coro, ha messo un freno alla sua verve toscana ed ha fondato tutta la comunicazione elettorale sulla speranza e su piccoli passi concreti a favore delle famiglie, con gli 80 euro in busta paga, del lavoro, come dimostra l’accordo Electrolux, della lotta alla burocrazia, ai costi della politica e agli sprechi. Alla fine, mescolando sapientemente il suo doppio ruolo istituzionale e politico, ha ottenuto un successo tanto clamoroso da essere quasi imbarazzante per la carica di responsabilità che ha raccolto sulle sue spalle.

Eppure, chi ha fatto sport sa che la vittoria nasconde insidiosi veleni. Può indurre a pigrizia o ad arroganza. Matteo Renzi, invece, che forse da giovane non ha fatto troppo sport, ma è stato un buon scout, non si è lasciato andare ad eccessi trionfali, ha esibito modestia e rispetto per gli avversari, invitati tutti al dialogo sulle riforme. Dicono che con lui è rinata la Democrazia cristiana, ma è un abbaglio o una piccola cattiveria, tipica degli intellettuali di sinistra, che lo detestano perché è capace di comunicare, decidere e addirittura vincere.

Il consenso della Democrazia cristiana all’inizio era fondato sulla paura del pericolo comunista e poi si è trasformato in complicità con larghi pezzi della società italiana.

Questa volta è clamorosamente diverso. Gli italiani, stanchi di una lunga depressione, si sono aggrappati a un po’ di speranza ed hanno dato fiducia a questo giovanotto anomalo nella politica italiana. Adesso la responsabilità che pesa sulle spalle di Matteo Renzi è terrificante. In Europa dovrà trattare da pari a pari con la Merkel e piegare la sua ostinazione. In Italia dovrà avviare una “rivoluzione democratica”, avviando riforme profonde e radicali, ma non possiamo dimenticare che opera ancora all’interno di un Parlamento che ha schiantato Bersani e paralizzato Enrico Letta.

I suoi avversari sono immusoniti e silenziosi, la Camusso sembra quasi infastidita dal risultato elettorale, ma senza le riforme promesse l’Italia rischia la catastrofe etica, politica ed economica. Ce la farà, Matteo Renzi, a non tradire speranze e fiducia. Tutte le leggi della fisica dicono che non può volare, ma come un calabrone dispettoso, continua volare. E a tutti noi conviene sperare che nessuno interrompa il suo e il nostro volo.