Un Marziano a Roma

Un Marziano a Roma. Forse la profezia di Ennio Flaiano sta per avverarsi. Ormai dissolta la Roma onirica della “dolce vita” felliniana, rimane la Roma mostruosa e bellissima di Sorrentino e Servillo, che potrebbe incoronare sindaco un “marziano” nato a Genova e che ha lavorato nei migliori istituti di ricerca degli States. Certo, i romani che sono andati a votare sono poco più della metà, ma tutti guarderanno con una punta di scettica curiosità a questo possibile/probabile sindaco scienziato che promette “che tutto cambierà” e che potrebbe curare i mali antichi e recenti di una città che è stata maltrattata oltre misura, forse più per incapacità che per cattiveria, dal sindaco uscente. Come è stato possibile? Cos’è successo a questi strani italiani, arrabbiati con la politica, ma che continuano a votare in percentuali vicine alle medie delle democrazie occidentali? Forse –sotto sotto- gli italiani sono innamorati della politica, e quando si infuriano o restano per dispetto a casa, in realtà sono arrabbiati con una “casta” privilegiata ed inamovibile, anche quando si riduce –obtorto collo- lo stipendio.

E così arriva questa invasione di sindaci “marziani”, al nord, al centro e al sud, che potrebbero salvare il Partito democratico dalla disintegrazione e condanna –per il momento- alla marginalità il Movimento 5 Stelle, perché Grillo non può e non vuole candidarsi sindaco in 16 città contemporaneamente. In fondo è un po’ “marziana” anche Debora Serracchiani, che dice di aver vinto “nonostante” il Pd, perché si è tenuta alla larga dalla nomeklatura del partito romano e si è affidata a quella sorta di E.T. della politica italiana che è Matteo Renzi. Certo, le elezioni amministrative sono una cosa diversa dalle politiche, ma in meglio. Quando si vota per il sindaco, per il presidente della Provincia (finché dura) o della Regione, si sa per chi si va a votare, per una donna o un uomo in carne ed ossa, che ha la sua storia e le sue idee, può farsi toccare, annusare, intervistare per strada dal cittadino elettore. Il candidato è o diventerà espressione della polis e del territorio e dovrà render conto di quello che farà o non farà, anche se è un marziano-genovese che si è messo in testa di fare il sindaco di Roma. Così si torna punto a capo: l’Italia deve liberarsi subito dal “porcellum”, che paradossalmente –nonostante premi elettorali abnormi- garantisce l’ingovernabilità (era questo il vero obiettivo di Calderoli) ed impone pseudo candidati che verranno eletti su ordine delle segreterie dei partiti e/o movimenti (nonostante le primarie reali/virtuali) senza che gli elettori possano davvero scegliere. Il risultato è di avere degli eletti “irresponsabili”, come quei 101 vigliacchi, furfanti e bugiardi che prima hanno applaudito Prodi e poi gli hanno negato il voto nel segreto dell’urna.

Adesso gli esperti dicono che il voto amministrativo ha rafforzato il governo delle larghe intese, perché ha spaventato (ma anche fatto infuriare) Berlusconi, che si coccolava i suoi sondaggi. Di sicuro, il sistema per l’elezione del sindaco è il modello da seguire per restituire un po’ di dignità e responsabilità alla politica (i sindaci, tra l’altro, sono i più “poveri” rispetto al resto della “casta”). La politica politicante, però, sta cercando tutte le scuse possibili: che prima ci sono le riforme istituzionali, che bisogna (quasi) abolire il Senato e ridurre il numero dei parlamentari, che intanto si potrebbero fare –come sostiene Brunetta- dei ritocchi “minimalisti”, una sorta di lifting, all’orribile “porcellum”. Ma sono tutte scuse. Quattro parlamentari giuliani (di Trieste e Gorizia) si sono impegnati a farlo sul serio, inseguendo l’appello de il Piccolo (i cittadini che aderiscono posso scrivere a ). Non si tratta di un impegno da poco, ci vorrà coraggio e per non imbrogliare per l’ennesima volta i cittadini elettori o ci si affida al “mattarellum”, che prevede il 75% di seggi uninominali e un recupero proporzionale del 25%, o si fa una legge uninominale a doppio turno come per il sindaco. Tertium non datur (alla faccia delle larghe intese, di Brunetta e del “porcellinum”).