Disciplina liquida

“Diventa ciò che sei”, da Così parlò Zarathustra di Frederich Nietzche.


Perché no?

Questo è un piccolo libro contaminato. Ci sono ricordi, c’è tanto sport, ma ci sono anche pezzi di scuola, di politica, di storia, di filosofia e di cinema. C’è anche il tentativo di stabilire un “contatto” con chi ha la ventura di essere giovane oggi, che –come tutti e da sempre- fa una fatica disperata per costruirsi un’identità individuale e collettiva. I vecchi, invece, considerano da sempre il mondo dei giovani come un territorio sconosciuto e vagamente minaccioso -“hic sunt leones”- anche se hanno già percorso quei territori incogniti, li hanno sperimentati e poi se ne sono dimenticati. E così la strada della formazione resta sempre diversa e diventa sempre uguale. Diversa, perché il contesto cambia di continuo, in modo travolgente in questi decenni di rivoluzione tecnologica ed informatica. Uguale, perché i tempi della maturazione psicofisica sono (relativamente) sempre gli stessi. Ricordare per condividere esperienze che possono essere comuni, nonostante la distanza del tempo, può avere un senso solo a condizione che venga fatto senza arroganza. Adesso si parla di una mutazione antropologica dei giovani, che sono diventati per l’ennesima volta la “generazione x”, soprattutto come conseguenza della realtà virtuale che nasce e muore nella rete. Ma tutti i giovani, sempre ed ovunque, crescono e si formano tra grandi fatiche ed incertezze, e sapere che i loro problemi/ansie/aspirazioni/paure/speranze sono già stati vissuti da altri forse può aiutarli o rafforzarli nel loro percorso autonomo ed individuale. Tutti hanno la loro linea d’ombra da superare. La mia risale a più di quarant’anni fa ed è piena di frammenti di una formazione individuale, certo un po’ speciale perché si è riempita con l’esperienza olimpica. Ci sono tanti pezzi di memoria che non appartengono solo a me, perché -forse- un’intera generazione ha condiviso tante simili piccole e molteplici speranze e paure. Dentro le pagine ci sono tanti “forse” e tanti “quasi”, perché con il tempo ho imparato la virtù senile della prudenza e perché anche il pensiero è diventato più “debole” (come tutto il resto). Qualche volta salta anche la “consecutio temporum”, ma è il risultato dell’incrocio del passato e del presente, quando non capisco più se sono cose che pensavo allora o penso adesso. In realtà, questo piccolo libro -che si legge (quasi) in novanta minuti, il tempo di una partita di calcio- è il tentativo di rompere la solitudine della memoria, sapendo che forse non interessa (quasi) a nessuno, ma -forse- a qualcuno sì. E allora: perché no?