Chi sono (francodelcampo@libero.it)

(*) Origini
“Sono nato nella prima metà del secolo scorso, a Trieste, da Benito e Livia. Per anni ho creduto che mio padre -così forte, indifeso e spigoloso- si chiamasse Giorgio, perché tutti lo chiamavano così in casa. Poi, molto più tardi, con una timida sorpresa, ho scoperto che –mentre in famiglia c’era stata una sorta di epurazione nominalistica- sul lavoro tutti lo chiamavano Benito. (…) Mi ha trasmesso, senza dire una parola, anche quello che lui considerava, molto concretamente e senza traccia di ideologia, il senso dello stato: far partire ed arrivare i treni in orario. Mia madre, invece, (…) è sempre stata morbida ed indulgente. Mi ha insegnato a leggere, mi ha fatto ascoltare la radio (sempre prima di addormentarmi) e mi ha portato al cinema fin da piccolo. (…)”.

(*) Generazione
Appartengo alla generazione del “baby boom”. Siamo i figli del dopoguerra, marchiati dalla ricostruzione e dall’ottimismo dei nostri padri e madri. (…) Abbiamo avuto a disposizione, grazie alla scuola pubblica, un’istruzione che da sempre era un privilegio riservato solo a pochi. (…) Studiare, laurearsi, trovare un lavoro, cambiare il mondo e vivere felici e contenti. Questa era la nostra modernità.

(*) “Maturazione” (?)

La “colpa” della mia (presunta) maturazione politica e delle mie scelte future nasce dalla lettura dei giornali e dalla discussione con gli amici, i compagni di scuola e di nuoto. Ricordo ancora il piacere, l’emozione e la fatica di sfogliare il lenzuolo dell’Espresso, soprattutto d’estate, quando lo leggevamo in gruppo, dopo gli allenamenti e una consistente merenda, sdraiati sul cemento del Bagno Ausonia, (…).

(*) Cinema
Ho visto una quantità di film con gli occhi impregnati di cloro e i capelli umidi anche in inverno. Il giovedì mi concedevo un’unica infrazione alla disciplina che mi ero imposto e scappavo cinque minuti prima del solito dalla piscina. Saltavo le lunghissime docce calde che seguivano normalmente gli allenamenti, piene di chiacchiere e di barzellette, di pensieri e progetti rivolti alle ragazze e alle gare future; mi vestivo in fretta e furia senza quasi asciugarmi e partivo con il mio vespino 50 verso il Cineforum che mi aspettava.

(*) Olimpiadi, Messico ’68
Le ultime bracciate le ricordo ancora al rallentatore e ancora non so se era un’illusione ottica oppure se si muovevano davvero come pietre. I due secondi finali, invece, non li ricordo. Vedo tutto nero (…). Quando la mia luce si riaccende guardo subito il mio allenatore per sapere com’è andata, visto che sul tabellone elettronico i risultati non compaiono subito. Lo vedo perplesso e speranzoso. A vista d’occhio non si distingue l’ordine d’arrivo. Potrei essere ultimo, come sesto o addirittura quinto. Poi arriva il verdetto elettronico e il mio nome è in fondo alla lista.

(*) Scuola 1

(…) La mia/nostra occupazione formativa è stata disciplinata ed ordinata. (…) La nostra occupazione nella retorica ed asburgica Trieste (l’Austria era un paese ordinato, ci avevano ripetuto fin da piccoli), è stato un esperimento emozionante ed innocuo. Avevamo organizzato tutto come una sorta di caserma creativa. (…) Eppure, ridendo e scherzando, occupando e studiando, parlando e cantando, in quei giorni la scuola è diventata davvero “nostra”. Ci è entrato in testa il germe del pensiero critico, la diffidenza per il comodo principio di autorità, la curiosità e l’emozione di cercare nuove domande e nuove prospettive rispetto agli scenari preconfezionati. E così ci siamo messi a studiare.

(*) Scuola 2
Quando entro in classe -da anni e senza bisogno dei buoni consigli di Sarkozy – ci salutiamo stando tutti in piedi e ci diamo dei lei. Insegnare ed imparare è un processo reciproco ed emozionante, ma senza confusione di ruoli perché anche il rispetto deve essere reciproco.Da anni, tutto quello che faccio e dico -in classe e fuori- è teso a dimostrare che non ci sono scorciatoie nello studio, nello sport, nella vita; che senza impegno, fatica e responsabilità non si arriva da nessuna parte; che bisogna trovare la giusta via tra equità e merito. Ma l’Italia mediatica va tutta da un’altra parte, e io rimango solo con le mie chiacchiere e il mio distintivo.

(*) Adesso
(…) Adesso, come tanti Kronos, ingordi e distratti, stiamo divorando le risorse che sarebbero destinate ai nostri figli e nipoti. Adesso siamo una generazione che sta diventando “ingombrante”. Siamo generosi con i nostri figli a livello individuale, ma siamo terribilmente egoisti (assai peggio dei nostri padri, che pure abbiamo contestato/superato) con le generazioni che ci inseguono. Adesso, anche se vorremmo essere ecologisti, continuiamo a bruciare ambiente, risorse e soldi per i nostri consumi di lusso e di massa.

(*) I riferimenti biografici sono tratti da “disciplinaliquida”, ibiskos editrice risolo

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