La nave che va a sbattere contro gli scogli e l’Italia che si incaglia dentro i suoi debiti non sono un incidente. Sono il risultato di una classe dirigente senza coraggio e senza un’etica pubblica, abituata all’uso privato ed avventato di un bene che non gli appartiene, che usa il suo potere per far divertire qualche amico o una fidanzata di passaggio. E così i nostri “comandanti” sembrano refrattari all’etica della responsabilità, non a caso teorizzata da un sociologo tedesco, che misura gli effetti che le nostre azioni hanno sugli altri e sul futuro. E’ un’etica nata e diffusa nel Nord Europa (nei Paesi che oggi, secondo le agenzie di rating, conservano la tripla A), un’etica severa, forse un po’ tetra, ma precisa nel contare i soldi e nel garantire, con il proprio impegno e missione (beruf), la salvezza della propria anima e del proprio bilancio, familiare e statale. E’ un’etica che non fa sconti, che si fonda su disciplina e senso del dovere, a suo modo è “agonistica” nei confronti della vita, che misura e “seleziona” chi si guadagna, con la benevolenza di Dio e il proprio lavoro, il successo e vede un rapporto diretto tra il proprio impegno e la salvezza (la fede è condizione necessaria ma non sufficiente). In Italia, salvo poche eccezioni, le cose vanno in modo diverso. (altro…)