Mafia Capitale vs “ossi di seppia”

Chissà se la melma maleodorante e schifosa nella quale ci sentiamo immersi è di destra o di sinistra? Fino a pochi giorni fa il dibattito politico sembrava tutto concentrato sulla scarsa affidabilità di Matteo Renzi come rappresentante di un centro sinistra con poca sinistra. I rigorosi tutori di una ortodossia ormai evaporata non si fanno incantare dalla chiacchiere del premier, dal fatto che abbia portato il Pd –cosa che sembrava quasi impossibile viste le sue due animi costituenti- dentro la casa del socialismo democratico europeo. Poco importa, ai raffinati intellettuali con sfocate memorie marxiste, che recentemente Renzi abbia citato la più marxiana e rivoluzionaria delle “glosse” a Feuerbach: “fino ad oggi i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di trasformarlo” (1845). Lo svuotamento dell’articolo 18 e il famigerato Jobs Act, che secondo Susanna Causso reintroduce il lavoro servile tra i giovani che il lavoro proprio non ce l’hanno, avevano portato il Pd sull’orlo di una scissione mediatica. Poi, all’improvviso -ma solo per i distratti che non leggono le inchieste de L’Espresso- esplode l’inchiesta “Mafia capitale”, che erutta fango nerastro su partiti ed istituzioni e ci fa vergognare di essere italiani. Il capo riconosciuto della cupola è un fascista nerissimo, un “rivoluzionario” che ha abbandonato l’idea/ideale di imporre al mondo il suo “ordine nuovo” ed è divento un ingordo accumulatore di potere e di soldi. Al suo fianco c’è un altro ex rivoluzionario, un “rosso”, che è stato in galera e diceva di essersi redento operando in una storica cooperativa dedita al recupero dei detenuti. E’ mafia di destra o di sinistra? Di chi è la responsabilità di questa devastante deriva politica ed istituzionale? Di uno, nessuno, centomila, direbbe l’eterno Pirandello, e non a caso lo spudorato Alemanno va in giro mostrando foto “compromettenti” per dimostrare che sono tutti dentro la sua melma. Gli antichi opposti estremismi, che si combattevano e toccavano ai tempi del terrorismo, dopo esser stati sconfitti militarmente e politicamente, grazie agli operai comunisti che non cedettero alle lusinghe rivoluzionarie e a pezzi dello stato che resistette alle trame golpiste dei suoi servizi deviati, adesso sono alleati per divorare quello che resta di Roma e dell’Italia. Hanno avuto buon gioco in un paese rassegnato, che ha perso lavoro e fiducia, che non trova un po’ di equità e giustizia perché non possono essere toccati i diritti acquisiti di vitalizzi e pensioni di diamante. Ormai siamo un paese che spreca i suoi giovani ed ha il record europeo di corruzione ed evasione, anche grazie a una burocrazia melmosa.  Nel circo politico-mediatico-criminale, come al solito ci sono anche calciatori, stelline e conduttori televisivi, che vogliono avere i muscoli di Hulk. Ma ci sono soprattutto i politici che tradiscono per avere una “paghetta” aggiuntiva di 5000, 10000 o 15000 euro al mese e che dovrebbero essere fulminati da una giustizia efficiente. Qualche furbetto adesso chiede le dimissioni dell’impacciato sindaco Marino, l’unico che si è opposto all’esondazione malefica della corruzione che ha invaso gli uffici e i corridoi del Campidoglio. Naturalmente c’è il solito inarrestabile Berlusconi, che si erge a maestro di etica pubblica e chiede le dimissioni di tutti per portare tutti al suo livello. Da dove ricominciare? Come recuperare un po’ dell’antico piacere dell’onesta? Cosa si può pretendere da un Parlamento che è stato nominato dal “porcellum” incostituzionale voluto dallo smemorato Berlusconi con la complicità del leghista Calderoli? Ci vorrebbe davvero un po’ di etica della responsabilità, di uno sguardo che vada oltre le piccole beghe di cortile per recuperare un po’ di speranza. Ci vorrebbe “disciplina e onore”. Ci vorrebbe un po’ di spirito costituente, senza chierici rossi o neri. Forse, visto che i politici hanno tradito, dovremmo affidarci ai poeti, all’etica rigorosa degli ossi di seppia perché non ci sono più formule che possano aprire mondi e ormai possiamo dire solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Eugenio Montale, 1923).

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