Pessimismo dell’intelligenza, o quasi…

C’è un modo facile facile per essere intelligenti: basta essere pessimisti. I pessimisti hanno (quasi) sempre ragione, ritengono che quello che “non è mai stato fatto” sia impossibile; sanno che “a pensar male si fa peccato, ma si indovina”; per esperienza sanno che “l’uomo non cambierà mai”. Nella migliore delle ipotesi seminano dubbi e quindi saggezza.

Molti pessimisti dicono: “non ce la può fare”, anche se poi aggiungono sottovoce: “…ma speriamo che ce la faccia…”. Il pessimista, però, non aiuta, è inevitabilmente conservatore, diffida del cambiamento e così resta comodamente alla finestra e spera che la sua facile profezia si realizzi.

Naturalmente i più intelligenti e pessimisti sono –da sempre- gli intellettuali di sinistra, abituati ad esercitare le affilate armi della critica, ma poco esperti nell’esercizio dell’ “ottimismo della volontà”, forse perché non hanno fatto un po’ di sport da giovani.

Adesso che –forse- dopo decenni di ipocrisie ed immobilismo, si vuole porre fine alla esasperante altalena istituzionale tra Camera e Senato, che rallenta qualsiasi processo decisionale, cresce l’allarme.

“Grandi vecchi” dell’intellighenzia democratica e di sinistra, come Gustavo Zagrebelsky e Stefano Rodotà, parlano di “stravolgimento della Costituzione” e di “svolta autoritaria” perché si vuole abolire il Senato elettivo, ma se si va a leggere il loro appello, firmato da tanti autorevoli intellettuali di sinistra, compreso Beppe Grillo, si trova solo una nuvola di frasi vagamente apodittiche, che fondano la loro verità su una evidenza un po’ approssimativa. Cambiare la Costituzione non è impossibile o vietato, ma giustamente molto complesso e l’articolo 138 ci spiega come si deve fare, senza scorciatoie da furbetti del quartierino. Un Senato che non sia più ad elezione diretta a qualcuno fa venire in mente il progetto eversivo della P2, dimenticando che democrazia europea è iniziata con l’affermazione di un Parlamento che ha via via svuotato di potere la Camera dei Lords. I nostri intelligenti pessimisti dicono, con parole fascinose, che dalla crisi istituzionale si esce con più democrazia e non con il ridimensionamento di un Senato che non sarebbe più eletto in modo diretto, dimenticano che in Francia avviene proprio così. Negli Usa, grazie a un federalismo illuminista, i senatori sono solo 100, due per ogni stato, indipendentemente dal numero dei suoi abitanti, alla faccia del principio “una testa un voto”. Inghilterra, Francia, Stati Uniti d’America sono dei sistemi autoritari? Secondo i nostri intelligenti pessimisti sembrerebbe di sì, ma la storia ci racconta che sono stati la culla della democrazia. Crozza, un altro intellettuale di sinistra, pessimista e sghignazzante, coglie un punto effettivamente debole della proposta governativa: come si può pensare di sostituire dei senatori eletti dal popolo, non di rado in vendita nel mercato della politica, con presidenti e consiglieri regionali, che usano il denaro pubblico come un bancomat personale, per comprare di tutto, dalle mutande verdi al barattolo di Nutella? L’argomentazione è forte, ma allora sarebbe più logico chiudere le Regioni spendaccione piuttosto che le piccole e povere Province.

Aggrottati pessimisti storici criticano le riforme che rendono l’ingresso nel mondo del lavoro più flessibile, quasi precario. Forse non hanno torto, ma dimenticano che la loro logica ha portato la disoccupazione giovanile alla catastrofe attuale e che è meglio avere un lavoro flessibile o quasi precario, che essere disoccupati o lavorare in nero.

Certo, poi c’è la proposta di nuova legge elettorale, che rassomiglia troppo all’orrido “porcellum” che dovrebbe sostituire, ma gli ultrapessimisti dovrebbero ricordarsi che siamo arrivati a questo punto perché non sono riusciti a vincere le ultime elezioni. Eppure, forse, non hanno tutti i torti, perché in fondo i pessimisti sono solo degli ottimisti ben informati.