“par condicio” vs twitter

La “par condicio” ai tempi di twitter? Probabilmente gnomi nascosti nei meandri della politica stanno cercando di inventarsi qualche comma alla legge 28/2000, più nota come “par condicio”, per “regolamentare” l’utilizzo di twitter, almeno durante la campagna elettorale. Il metodo e l’obiettivo è sempre lo stesso: un sistema di regole “ad personam” per limitare la frenesia ipercomunicativa del “potente” di turno. Questa volta tocca a Matteo Renzi, “twitterista” compulsivo, che cinguetta su tutto e con tutti a una velocità vertiginosa. Nel lontano febbraio del 2000, durante il secondo governo D’Alema, la “par condicio” fu inventata e poi affidata all’Autorità per le comunicazioni (Agcom) e a livello regionale ai Corecom, per frenare l’esorbitante potere politico e mediatico di Silvio Berlusconi, proprietario di tre televisioni, di giornali, riviste, case editrici, calciatori e veline. La “par condicio” è stato il tentativo estremo da parte del centro-sinistra (quella volta aveva il trattino) di mettere una foglia di fico sul rapporto incestuoso tra politica e televisione e alle “vergogne” di un macroscopico conflitto d’interesse. La storia e la cronaca hanno dimostrato che niente e nessuno, nemmeno le condanne definitive per evasione fiscale, sono in grado di frenare la campagna elettorale del vecchio leone della comunicazione politico-televisiva. Forse non si dovrebbe dire, ma i fatti dimostrano che la “par condicio” è servita a poco e che si sono spesi tanti soldi per raccogliere i dati di una miriade di monitoraggi, nazionali e regionali, che ammuffiscono negli archivi digitali dell’Agcom e dei Corecom.

E poi, la “par condicio”, almeno in parte, è un condensato di banalità.

Vorrebbe imporre ai giornalisti televisivi, nel breve periodo elettorale, “l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione”. E se qualche giornalista viola la legge e la deontologia professionale? Non fa niente, un buffetto e via, tutto perdonato. E i giornalisti della carta stampata? Quelli possono scrivere (quasi) tutto quello che vogliono, tanto leggere è faticoso e le loro opinioni non spostano un voto dell’elettorato televisivo.

Adesso, però, nasce un problema: come ingabbiare il cinguettio della politica e in particolare quello ininterrotto dell’attuale presidente del consiglio, dentro la “par condicio”? Non sarà facile, salvo adottare i metodi del “compagno” Putin. Twittare è diventato una sorta di malattia professionale per i politici, che si lanciano insulti sanguinosi cinguettando al ritmo di 140 caratteri. Twitter fa letteralmente schifo ad un intellettuale colto e raffinato come Michele Serra, perché manca la sintesi dialettica tra “mi piace” e “non mi piace”, ma forse non ha notato che il primo  e fondamentale articolo della Costituzione ha le dimensioni di un tweet.

Forse è inutile spiegare agli gnomi della “par condicio” la differenza astrale tra la televisione e i social media. La televisione ha un potere unidirezionale, gerarchico ed amichevolmente autoritario, mentre i social media -e twitter in particolare- sono orizzontali, in rete, fondati sulla reciprocità, dove tutti possono dire tutto (anche a sproposito) a tutti coloro che sono disposti ad ascoltarli/leggerli, basta che avvenga in breve tempo e con pochi caratteri.

Sembra, allora, un po’ paradossale che i seguaci della comunicazione in rete, che avevano demonizzato le apparizioni in televisione, si appellino adesso alla “par condicio” e abbiamo chiesto di bloccare la partecipazione del premier Matteo Renzi, che è innanzi tutto un tifoso viola, alla “partita del cuore” a favore di Emergency, a fianco dei suoi miti come Baggio, Batistuta ed Antognoni. Qualcuno, con una punta di perfidia, ha detto che se avesse giocato avrebbe perso voti. Ma Renzi ha risolto la diatriba ed ha comunicato con qualche sofferenza –naturalmente con un tweet- che non giocherà. Quindi #parcondiciostaiserena.

fdc